Le regole del social advertising valgono per tutti, tranne per gli influencer?

Le regole del social advertising valgono per tutti, tranne per gli influencer? 150 150 Carmela Parisi

L’enorme quantità di post sponsorizzati, o che pubblicizzano prodotti spediti gratuitamente, ha creato un vero e proprio Far West, in cui manca la figura dello sceriffo: ma i Social Media potrebbero avere maggiori interessi a rendere le cose più giuste e trasparenti possibile.

Influencers: persone o prodotti?

Kendall Jenner è un essere umano, fatto di carne e sangue, così come lo sono Chiara Ferragni e Leadra Medine. Ma, quando l’identità di una persona diventa un prodotto o un canale per il prodotto – quando la Ferragni è diventata The Blonde Salade o Medine The Man Repeller – dobbiamo iniziare a guardare a queste figure come qualcosa di diverso.

O se noi non riusciamo, devono necessariamente farlo gli organismi di regolamentazione, come lo United States Federal Trade Commission (FTC).

Questo lavoro non è altro che l’applicazione della versione più sfumata di un principio semplice: coloro che fanno pubblicità non hanno il permesso di raggirare i consumatori, mascherando attraverso contenuti commercialmente motivati qualcosa che non lo è.

Quando vediamo un post su Instagram di un’azienda che seguiamo e che pubblicizza degli integratori vitaminici, sappiamo che quello è marketing. Ma se Kendall Jenner posta lo stesso prodotto sul suo profilo – e viene pagata per farlo – la Legge pretende che il consumatore venga avvertito. Ora, se Kendall Jenner decide di postare la sua colazione su Instagram e questi integratori appaiono all’interno del suo piatto, le cose diventano un po’ più complicate.

«Stiamo attenti a controllare ogni influencer che non rivela che sta promuovendo dei prodotti connessi ad un brand», afferma Michael Ostheimer, responsabile dello staff presso il FTC. Questi non sono semplici selfie di adolescenti ma costituiscono un vero e proprio marketing, e molto potente. «Le persone li stanno pagando svariate migliaia di dollari. Sembra quasi che coloro che lo fanno abbiano il potere», continua. In aggiunta, i post degli influencer su Instagram sono raddoppiati nel corso del 2017, secondo quanto afferma Klear, un’azienda che si occupa di analytics, mentre l’influencer marketing è diventato un business da un miliardo di dollari solo nell’ultimo anno (e ci si aspetta che aumenti fino a 5 miliardi entro il 2020).

Per le linee guida del FTC, ogni post sponsorizzato deve contenere tag specifici quali #Ad o #Sponsored. Le agenzie parlano chiaro: i tag devono essere inseriti vicino al post, preferibilmente a destra subito dopo la caption (e non nella parte della caption che appare quando si clicca su “more”). E non puoi raggirare questa regola inserendo gli hashtag #sp o #partner o scrivendo “Grazie Louis Vuitton”.

Funziona?

«C’è una prova che evidenzia come alcuni post sono stati corretti o eliminati, ma in generale, sembra che molti degli influencer più famosi continuino a evadere la Legge». A dirlo è Bonnie Patten, direttore esecutivo di Truth in Advertsing, un gruppo di avvocati che, nel settembre del 2017, ha presentato un reclamo – il secondo – insieme al FTC, facendo notare come le Kardashian e le Jenners – le star dei reality americani, ambasciatrici di moda e guru nel business della bellezza – abbiano più volte omesso di rivelare le pubblicità.

La strategia preferita dalle Kardashian/Jenner per aggirare la Legge è l’utilizzo del loro hashtag personale, #KJ4EL, che è un acronimo di Kendall Jenner per Estée Lauder. Il problema è che l’acronimo potrebbe non essere chiaro al consumatore, che quindi non individuerebbe la pubblicità. «I consumatori hanno il diritto di sapere se i tuoi motivi e interessi sono finanziati e se c’è un guadagno monetario», afferma Patten.

Mentre i brand sembrano essersi messi in salvo, aggiungendo una apposita dicitura nei contratti che forza gli influencer a dichiararlo apertamente nel post, «gli influencer non si preoccupano affatto», dice Julie Zerbo,  avvocato e autrice del sito The Fashion Law. Negli scorsi due anni, il suo blog ha esaminato questa questione tramite il suo “The Annual Brand and Influencer Report: The Good, Bad, and Highly Problematic”. Nel corso del 2017, Bryanboy e Caro Daur sono stati “esemplari”, Chiara Ferragni si è posizionata nel mezzo della classifica, mentre Olivia Palermo e Camila Coelho sono piombate alla fine della lista. «La maggioranza si è posizionata in basso in questa classifica di chi sta effettivamente divulgando. Questa cosa è vergognosa», afferma Zerbo.

Perché i contenuti sponsorizzati non contengono #ad?

Ferragni afferma di essere stata “una delle prime” influencer ad aver applicato l’hashtag #ad, già quando la questione venne affrontata per la prima volta dalle autorità. Ma come lei stessa afferma, sia che le sue azioni fossero reattive o proattive, queste rivelazioni sono irrilevanti, perché «non penso che i miei follower siano interessati a sapere se i miei contenuti sono sponsorizzati o meno, specialmente perché ho scelto di lavorare con partner, prodotti e progetti che sono vicini a ciò che sono e ciò che mi piace», ha affermato.

Ciò scongiura la domanda: se non fa differenza, perché i post sponsorizzati non contengono #ad al primo posto? Ma va anche al punto cruciale del problema: separare ciò che sono i contenuti sponsorizzati da ciò che è editoriale, e se effettivamente questo importi ai lettori.

La prova che più ci convince, un aneddoto, proviene dalle stesse influencers: quasi uniformemente hanno affermato come il loro engagement sia crollato dopo aver utilizzato i tag come #ad. Mentre le influencer hanno pensato che questo potrebbe essere il risultato dei cambiamenti dell’algoritmo di Instagram, la causa di ciò potrebbe essere il fatto che la piattaforma ha “bruciato” tutti i post taggati #ad (la maggior parte degli utenti di Instagram non vede il 70% di questi post nel loro feed), anche se Instagram afferma di non penalizzare questi contenuti.

Nel giugno del 2017, Instagram ha istituito un programma nel quale, al posto del geo-tag in alto rispetto al post, appariva una nota che indicava se il post fosse sponsorizzato o meno e da chi. Questo si colloca comunque fuori dalle linee guida del FTC (poiché gli influencer devono necessariamente aggiungere #ad sotto ai post sponsorizzati). Più recentemente, la piattaforma ha aggiunto una componente che segnava con un banner, che poteva vedere solo chi aveva postato, i post che contenevano pubblicità improprie. Non ci sono ripercussioni, attenzione, ma il sospettato veniva invitato a leggere le regole di Instagram sulle sponsorship.

Non tutti gli influencer hanno avuto bisogno di essere ripresi. Come ha rivelato il report della Fashion Law, Bryanboy è molto chiaro con i suoi 665k follower circa i suoi contenuti a pagamento. «Ogni volta che ricevo un regalo, una pubblicità a pagamento, un contenuto sponsorizzato o una presentazione stampa, lo dichiaro sempre», ha affermato. Per lui ciò significa rendere se stesso più affidabile. «Tanti influencer sono esitanti nel dichiarare ciò perché non vogliono apparire come quelli che vengono sempre pagati».

Ciò è collegato alla questione dell’autenticità. E qui è dove le cose peggiorano. Per mantenere le cose più spontanee possibili, gli influencer spesso tornano su ciò che li ha resi popolari: postano immagini di se stessi con i prodotti che amano.

«Penso che gli influencer si siano resi conto del fatto che è l’autenticità la ragione per cui sono diventati così famosi», afferma Zerbo. «I lettori hanno iniziato a guardarli come un’alternativa a Vogue e al mondo in cui sapevano chiaramente di aver a che fare con le pubblicità».

Ma quando ciò comportò dichiarare le partnership pagate, l’autenticità venne tagliata da entrambe le parti. «Penso che una delle cose che caratterizza i social sia l’obiettivo di essere realmente autentici e di sbirciare nella vita di qualcun altro», afferma Patten. Per raggiungere ciò – per il FTC, i social, i consumatori e gli influencer – bisogna decidere quando finisce la vita e inizia il business, sapendo tutti che la separazione di questi due elementi potrebbe rappresentare uno svantaggio per alcuni.

Questo articolo è apparso per la prima volta nell’ultima edizione stampata del The business of Fashion: puoi consultarlo qui!

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