Oggi voglio raccontarti una storia.
Forse – anzi, quasi sicuramente – non la conosci perché è accaduta tanti tanti anni fa. Non è solo la storia di un prodotto, ma anche quella di un brand. Coca-Cola.
C’era una volta un farmacista…
Tutti sappiamo che fu il Dr. Pemberton a produrre questo sciroppo ad Atlanta, e a proporlo come bevanda da asporto, abbinato ad acqua gassata. Venne definito dai primi assaggiatori come “delizioso e rinfrescante”.
Siamo nel 1886 e il creatore della Coca-Cola riuscì a vendere nel primo anno circa 9 bicchieri al giorno del suo ritrovato nero e frizzantino. Due anni dopo Candler, un abile uomo d’affari, fiutò il reale valore di quella bevanda e acquistò la società.
Da qui iniziò l’ascesa di Coca-Cola. Fino al 23 aprile 1985.
Il “giorno dell’infamia”
Viene ricordato così il giorno in cui l’azienda annunciò di voler cambiare la ricetta della Coca Cola.
Perché, ti starai domandando. A quanto pare si era assottigliata la distanza tra il marchio delle due C e i competitor – il sapore della Pepsi risultava più dolciastro e più gradevole – e il mercato sembrava un po’ addormentato: andava ridato un po’ di smalto a quel gusto, che era rimasto sempre lo stesso quasi per 100 anni.
E in realtà l’effetto ottenuto fu quello tanto auspicato. Non grazie all’idea dei dirigenti, ma alla reazione dei consumatori, delle persone comuni. Da quel 23 aprile iniziarono, infatti, 79 giorni di proteste, che trasformarono per sempre il settore dei soft-drink e il brand Coca-Cola.
La nuova ricetta, ribattezzata New Coke, era stata creata dopo test gustativi sottoposti ai clienti: per la precisione, vennero coinvolte circa 200.000 persone. Insomma, doveva essere davvero buona questa nuova bevanda. Ma quello che l’azienda non aveva calcolato – o non era stata in grado di quantificare – era il legame tra le persone e il brand.
Probabilmente aveva sottovalutato un fattore fondamentale: quello della relazione tra tutto ciò che Coca-Cola rappresentava e le persone che mettevano in tavola quella bevanda, che stappavano la famosa bottiglietta ogni giorno appena rientrati da lavoro, che condividevano quel momento con i loro figli.
Al di là del sapore, Coca Cola non era più la bevanda da asporto del Dottor Pemberton, ma un brand.
La Coca-Cola Company ricevette in quei 79 giorni circa 1.500 telefonate di lamentele quotidiane, vide nascere associazioni che volevano il ritorno alla “vecchia” Coca Cola, dovete fare i conti con clienti che facevano scorte della ricetta old-style.
Su un cartello esposto durante una manifestazione venne scritto: “I nostri figli non sapranno mai cosa vuol dire dissetarsi”.
Morale della favola?
Quella che venne definita come la peggior mossa fatta dall’azienda, il peggior momento di marketing della storia, fu invece il momento d’oro della Coca Cola. Il momento in cui un marchio, col suo prodotto, perdeva le sue caratteristiche concrete e diventava un brand.
Nel luglio del 1985 tornò sugli scaffali dei negozi la classica Coca-Cola, mentre la nuova versione scomparve pochi anni dopo.
Ciò che è rimasto è tutto l’immaginario che continua a circondare quella bottiglia, quella bevanda di festa, condivisione, allegria e freschezza. Ciò che rimane è un lovemark, forse uno dei primi della storia.
E l’unico grande insegnamento che ha segnato l’evoluzione del marketing: quello che conta è essere un brand e riuscire a creare un legame vero e tangibile con le persone.
Contenuto bonus
In realtà la New Coke è tornata, dopo quasi 35 anni, ma solo come omaggio alla nuova stagione di Stranger Things.
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